Millepercento BB1

A cura di Alberto Monzani
Foto Stefago

Chi scrive (ossia io che parlo in prima persona) conosce molto bene la Millepercento BB1. Dal 2009 ad oggi, più volte ho avuto modo di testarne le doti; e ogni volta di meravigliarmi del motorone 1420 liquid cooled made in Mariani, che pulsa imbrigliato a fatica nel telaio della Griso di casa Guzzi. In questa moto c’è tutto il genio di Ghezzi e la passione del team dei ragazzi della Millepercento, i quali un bel giorno hanno messo insieme idee e mezzi per realizzare quello che è a tutti gli effetti un Dragster omologato per circolare su strada e pure Euro 3. Mai come con questa moto il cervello del pilota deve capire che ogni azione sul comando del gas determina una reazione uguale ma drammaticamente contraria da parte del motore, che in qualsiasi marcia, a qualsiasi velocità e a qualsiasi regime, fa violenza al reparto trasmissione prima, e a tutto il retrotreno poi, scatenando uno tsunami di coppia motrice difficile da tenere a bada, anche da piloti esperti e avvezzi a potenze ben superiori. La potenza in se non spaventa, in questo senso, i quasi 135cv mettono la BB1 nel mezzo del gruppo delle power naked di ultima generazione. Il dato eclatante sono i 146 Nm ottenuti a 5.500 RPM di cui il Big Bore 1420 è capace. Ma la “festa”, o meglio l’inferno, inizia ben prima: già a soli 2.000 RPM le aperture del gas vanno ben ponderate onde evitare spiacevoli spaventi. La BB1 non è un giocattolino perfettino per gente che vuole vantare al bar del centro le proprie doti di guida. Zero aiuti elettronici, e zero compromessi ma solo tanta forza bruta pronta a scattare alla prima rotazione del polso, e quando l’ago del contagiri si accinge a correre più velocemente dei led che ne contornano il quadrante, il mondo circostante inizia a muoversi a quelle velocità siderali che solo alcune sportive 4 cilindri da 1400 cc e 200 cv possono riuscire a raggiungere in un tempo tanto breve. I limiti della BB1 sono tutti figli di una scelta; quella di utilizzare una (tutto sommato) tranquilla cruiser qual è la Griso, come base di partenza per assemblare questa special “di serie” in salsa Brianzola. In primis, proprio il motoro viene castrato dal gruppo trasmissione che ne tarpa le ali con un rapporto finale troppo corto per raggiungere una velocità massima altrimenti molto superiore ai poco più di 200 km/h, dei quali la BB1 è capace. Di contro, però, proprio la finale corta regala un carattere e una schiena fantastici, difficili da dimenticare una volta saggiati. Nelle prime quattro marce (se si insiste con il gas) la moto non tende a impennare ma piuttosto a sfuggire da sotto il sedere. Il tutto contornato da un crescendo di suoni provenienti dall’enorme monocorpo da 64mm montato in posizione centrale sotto la porzione di sella dedicata al pilota. Monocorpo talmente vorace da sembrare sempre famelico d’aria da convogliare all’interno dei condotti d’aspirazione. Altro grosso limite deriva dal fatto che tutta la parte ciclistica (n comune con la ben meno prestante Griso) fatica a tenere a bada la mandria di cv selvaggi. Tuttavia, proprio le quote ciclistiche più votate alla stabilità che alla maneggevolezza, in determinati frangenti paiono una manna insperata, che permette di esibirsi in numeri degni di stunt, o di film d’azione; anche se il tutto, il più delle volte, avviene senza che il pilota ne sia il protagonista vero e proprio. È possibile sentire con chiarezza la gomma posteriore deformarsi in accelerazione al punto che se ci si trova un minimo fuori asse, la scodata di potenza è la cosa più normale che possa accadere. In uscita dalle curve, se si è dotati del coraggio necessario e ci si può fidare del grip offerto dalla gomma posteriore, il traction control deve essere preinstallato direttamente nel polso di chi guida altrimenti meglio astenersi, perché il margine di errore con una moto così ignorante è molto molto sottile.

Ora passo a raccontarvi la parte gentile della BB1 che, pur con i limiti imposti dalla moto da cui prende origine, permette di divertirsi in tutta sicurezza. Se esteticamente la BB1 riprende buona parte del design della Griso, salta subito all’occhio la parte anteriore dove dei molto ben ridisegnati fianchetti a lato del serbatoio, si allungano fino ad abbracciare lo squadrato guscio in carbonio, carapace tecnologico che cela alla vista il radiatore e le tubazioni per l’impianto di raffreddamento. Troviamo poi un bel puntale verniciato in tinta con il resto delle sovrastrutture, che riempie molto bene la parte bassa della moto in un continuo di linee davvero molto piacevole, sottolineato dall’esclusivo “giro” dei collettori di scarico che passano a lato del motore e si incontrano in un raccordo sotto al basamento per poi finire nel terminale di serie della Griso. La BB1 non è certo una turistica ma (fatte le dovute premesse) il turismo a medio e anche lungo raggio non è certo precluso. Pur capendo che attrezzarla per le traversate continentali non sarebbe cosa degna, è da segnalare un basso tasso di vibrazioni (quelle che ci sono, risultano più piacevoli che fastidiose) e una posizione in sella più centrata di quella della Griso, anche grazie al fatto che il Big Bore, nonostante la cilindrata maggiore, risulta più compatto e meglio inserito nella sagoma della moto. Cosa che permette di stringere le ginocchia come mai un “traverso” made in Mandello ha permesso di fare. Mancano infatti i corpi farfallati che di norma interferiscono con le ginocchia del pilota (come ho detto la BB1 monta un monocorpo da 64mm che è collocato centralmente sotto la sella del pilota) e le teste sono molto più “discrete” di quelle dei motori Guzzi di serie. Il comando della frizione (che ha ricevuto una cura ricostituente da parte della MPC con dischi e materiali d’attrito speciali), in vero un po’ duretto risulta però fastidioso solo con un intensivo uso cittadino; una volta raggiunti i grandi spazi, vista la schiena del 1420, ci si dimentica ben presto della durezza e le cambiate in salita sono precise e si fanno sfiorando appena la leva. In discesa (sempre che non si cerchi il traverso, inadatto alla trasmissione cardanica) il cambio è scevro da impuntamenti e, se ben accompagnato con il piede fino a fine corsa, difficilmente verrà a mancare l’innesto. Il passeggero (finchè il pilota non esagera con il gas) non può dirsi certamente trattato male e, pur mancando dei veri e propri appigli cui aggrapparsi (si trovano comunque facilmente in commercio delle più pratiche che belle maniglie da applicare sfruttando gli appositi attacchi al telaietto reggi sella) non fatica molto ad assecondare anche la possibile guida spensierata di colui (e, perché no di colei) che  in certi frangenti, potrebbe decidere il prematuro abbandono del sellino posteriore mostrando la perdita del senso della misura, per il gusto di verificare che i succitati led posti a contorno del contagiri si accendano tutti in modo regolare. La protezione aerodinamica non è certo ai massimi livelli: il piccolo e bellissimo cupolino, in pratica, serve solo a proteggere la tecnologica e compattissima strumentazione plug-in, fornita dalla Koso. Il manubrione di serie poi, se da un lato permette un favorevolissimo braccio di leva, in velocità espone il pilota a una continua lotta contro gli elementi. Solo la nuova posizione, che diventa possibile assumere con le ginocchia, alleggerisce la fatica della parte superiore del busto, aiutando non poco il lavoro degli arti inferiori nel comunque difficile compito di coadiuvare le braccia per rimanere saldamente al comando della BB1. A freddo, il motorone scalcia, scuote (molto meno dell’unità di serie) sgroppa e gorgoglia, ma una volta raggiunta la giusta temperatura d’esercizio in basso risulta pieno e regolare. Il 1420 offre un buon allungo (il limitatore è posto a 8.000 RPM e in questa zona o si è in pista o inesorabilmente si andrà incontro alla vaporizzazione della patente da parte delle FDO) e, a velocità da codice, pure parco nei consumi che si attestano in media sui 13/14 km/l; ma se si insiste con il gas, i 9 km/l sono terribilmente facili da “vedere”. Sì, perché è opportuno ricordare sempre di quale moto stiamo parlando, e che, in conclusione, la BB1 potrebbe benissimo avere un nuovo acronimo a giustificarne il nome. Provate infatti a indovinare (attingendo ai vecchi proverbi sull’invidia) che cosa potrebbe significare quella doppia “B”, la stessa che proveranno gli “altri” quando leggeranno la scritta “1420 cc” posta sul carbonio nero del convogliatore del radiatore, togliendosi in tal modo ogni dubbio sul fatto che questa non è una Griso un’ po’ speciale, ma una MPC BB1. E a noi piace proprio pensarla così: una Brutta Bestia da domare a ogni curva e ogni ripartenza.

3 pensieri su “Millepercento BB1

  1. Hi Monz….I’m writing you from Via Ghislandi !!!
    Visto l’ambientazione internazionale volevo scriverlo in Inglese. Ci tiro :-)77 rules !!!
    Complimenti per l’articolo e le foto,ottima idea scegliere quel tipo d’ambientazione,non mi aspettavo un risultato così bello

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